Questo libro mi ha scelto: capita di rado, in genere so già cosa voglio, o so da cosa voglio farmi conquistare. In questo caso è stato lui a scegliere me, quegli occhi tra l’impertinente e il timoroso mi hanno incuriosita, quella chioma rossa, pur evitando il mio sguardo mi ha chiesto di essere portata a casa per scoprire di più, per capire se fosse più simile all’una o all’altra tipologia di scolaro.

Il ragazzino curvo sul banco non mi ha delusa: Ragazzo italiano è un pezzo della nostra storia, è egli stesso la nostra Italia, cresciuta tra entusiasmi e delusioni, fatiche e rivalse.

Ninni/Piero, inizialmente gracilino e balbuziente, si affaccia alla vita in un’Italia ancora tramortita dagli schiaffi della guerra, ma piena di orgoglio e voglia di riprendersi in fretta ciò che le è stato tolto, prima fra tutte la fiducia. E così cresce anche Piero, abbandonando gli inciampi linguistici, i limiti fisici, il senso di inadeguatezza per avanzare sicuro nel mondo.

I personaggi che lo affiancano in questo viaggio rappresentano ognuno un sentimento, un atteggiamento diverso, ma in egual modo autentico e reale.

La cornice familiare nella quale cresce lo protegge eccessivamente, lo contesta, lo teme, ma sempre, e a modo suo lo ama. Ma chi più lo aiuta a maturare sono i suoi insegnanti, così diversi tra loro eppure ciascuno determinante, nella vita del protagonista, dal maestro Poli, che in quarta elementare gli insegna ad andare “avanti e indietro nella catena dei perchè”, al professor Fumagalli, che lo porta a valutare l’idea di “guadagnarsi da vivere occupandosi di quello che a lui veramente piaceva, cioè la cultura in astratto e i libri in concreto”.

E il finale? A voi il finale. Come sostiene Conrad: “Si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra si deve occupare il lettore.”

Gian Arturo Ferrari Ragazzo Italiano, Feltrinelli. Finalista Premio Strega