He smiled his world-embracing smile for me, and placed his hand over his heart.
Un sorriso a volte può abbracciare il mondo, come recita questa riflessione di Shantaram. Una smorfia può al contrario tradire insofferenza, o dispiacere, il movimento delle labbra altrui può trametterci fastidio, o diversamente piacere, sorpresa.
Oggi il mondo intorno a me ha ricominciato a vivere: più traffico in strada, più rumori, gente in giro, tutti con un gran desiderio di respirare, vedere, camminare, recuperare quella normalità, quella routine che in altri tempi ci attanagliava come anticamera della noia e del “sempre uguale”.
Il nostro accessorio imprescindibile sarà per un po’ la mascherina, un dispositivo di protezione dal virus, ma anche un velo sulle nostre sensazioni, una barriera che potrebbe ostacolarci nella comunicazione.
Vedere tanti volti senza bocca, senza sorriso, mi fa prestare più attenzione a ciò che resta scoperto, agli occhi: mi riporta a tanti volti incontrati nel corso dei miei anni sempre in viaggio, ai tanti incontri con individui coi quali non potevo comunicare a causa di barriere linguistiche, e alle quali si compensava con sguardi profondi, intensi, capaci davvero di parlare.
Ricordo gli sguardi sospettosi dei bambini nei villaggi intorno a Mombasa, quello fiero di una donna che attirava turisti in Plaza de la Catedral, Havana, gli occhi stanchi di un artigiano di sigari a Trinidad, una stiratrice timida a Dehli, un masai misterioso, tante storie raccolte in sfere trasparenti e profonde, esaurienti come capitoli di vite scritte e lette con gli occhi.
Oggi ho corso solo qualche chilometro, ho percorso strade conosciute e incontrato persone comuni, eppure anche oggi ho imparato, o forse dovrei dire reimparato: gli sguardi possono parlare una lingua universale, non serve apprenderla, basta avere occhi pronti a comprenderla.
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