Non so quando mi sono accorta che questi “arresti domiciliari” cominciavano ad avere strani effetti su di me: forse quando con mia figlia ho deciso di fare la piega e la manicure ai suoi peluche; eppure avevo avuto già dei segnali di allarme, avrei dovuto capire che qualcosa nella mia testa cominciava a non funzionare quando, dopo aver sistemato i miei abiti in ordine di sfumatura di colore, ho deciso di fare di più e li ho a loro volta organizzati secondo la consistenza del tessuto; o forse quando, aprendo il ripostiglio, ho deciso di ordinare le mie scarpe in ordine decrescente di altezza di tacco; oppure quando, cercando il curry per preparare il pollo, ho involontariamente schierato le spezie per paese di provenienza.
Effetti collaterali del lock down: non potendo uscire, ho rivisitato la casa, mi sono riappropriata di tutti i suoi angoli, anche dei più reconditi, quelli trascurati per dare la priorità alle urgenze, alla quotidianità.
Materassi, tende, cassetti, scatole dei ricordi, niente è stato lasciato a se stesso e questo mio slancio verso il recupero dello spazio domestico è diventato a poco a poco contagioso: il mio compagno, in barba a tutti i dettami dei bravi bibliotecari, ha deciso un giorno di fare ordine tra i miei libri e sistemarli in ordine di altezza, la mia figlia minore ha scoperto, giocoforza, che costa molta fatica pulire, e che è scoraggiante scoprire che questa attività, una volta svolta, vada ripetuta con grande assiduità. La mia figlia maggiore, consapevole che la “missione spesa” è di vitale importanza, si aggira per la cucina scrivendo con cura la lista perché sa che, se dovessimo dimenticare di comprare il latte, dovremmo farne a meno per giorni, fino alla “spedizione” successiva.
Insomma credo che se i muri parlassero, anche loro direbbero: non ne possiamo più! FateLI uscire!!
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