Ho letto un libro complicato, che non mi si è svelato fino in fondo, ma solo a sprazzi: si tratta de “Le città invisibili”, di Italo Calvino. Il Gran Khan interroga Marco Polo, usa gli occhi e le parole del veneziano per visitare mondi inesplorati e città per lui invisibili.
Marco Polo, dal canto suo, racconta di alcuni luoghi visti e altri immaginati da lui, o dagli uomini, che si affannano dietro a sogni e ideali per finire con il non essere mai pienamente realizzati.
Più delle città resteranno nella mia memoria i confronti tra i due uomini, tra tutti quello nel quale il Gran Kahn vede come ultimo, inevitabile approdo la città infernale, e Marco Polo gli risponde:
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
Se siete in vacanza e avete un po’ di tempo, vale la pena meditare su questo pensiero.
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