E’ un caso che abbia cominciato a leggere “Le otto montagne” due giorni dopo la vittoria di Cognetti del Premio Strega. Non è un caso invece che, dopo cinquanta pagine, si sia insinuato il desiderio di un viaggio tra le cime delle montagne così vicine al luogo dove vivo.
Nonostante io prediliga il mare, la poesia espressa nelle descrizioni, nelle rievocazioni è riuscita a trasportarmi sulle vette raggiunte dal protagonista, a permettermi di udirne le voci, sentirne gli odori. Ecco come l’autore descrive il suo amico:
“Aveva addosso lo stesso odore di stalla, fieno, latte cagliato, terra umida e fumo di legna, che per me da allora è sempre stato l’odore della montagna, e che ho ritrovato in qualunque montagna del mondo.”
La trama, che in alcuni frangenti mi è sembrata un po’ debole, viene riscattata dalla capacità poetica delle descrizioni, e dal racconto del problematico rapporto tra padre e figlio.
In questo libro ho trovato molto di ciò che cerco in un romanzo: la capacità di rievocazione, l’utilizzo fine della lingua, la ricerca delle parole giuste, quelle che rendono una frase melodia.
Buona lettura.
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