C’è qualcosa di speciale che mi lega a New York, non basta un post per spiegarlo.
Il titolo che ho inventato sintetizza l’idea che ho di questo luogo, patria per i senza patria, casa per chi una dimora ce l’ha, ma anche e soprattutto per chi invece ne cerca una.
Ogni volta che torno a New York mi sembra di tornare a casa, nessuno si sente straniero (ottocento lingue parlate, alcune delle quali estinte anche nei paesi di origine ma non qui); sarà perché è l’unico luogo in cui abitanti e turisti si confondono, sarà perché l’ho fatta mia nelle decine di ambientazioni cinematografiche, nelle tante pagine lette nelle quali New York era location e personaggio; sarà perché visitando Ellis Island si respira ancora perfettamente l’aria pregna di storie, speranze, sogni e spirito di accoglienza di un paese che è per sua natura la patria di emigranti.
Questa mia sensazione è condivisa dall’autore del libro che vi consiglio oggi, che ho scovato per caso, cercando pubblicazioni adatte al mio viaggio. Si intitola New York è una Finestra senza Tende, un delizioso libricino scritto da Paolo Cognetti, la cui edizione presa in prestito in biblioteca è arricchita da un DVD documentario, che ha già riacceso la mia voglia di tornarci, per visitare angoli lontani dalle fermate dei bus “hop on hop off” e vicine a chi ci vive e agli scrittori che hanno descritto, celebrato, maledetto questa città. Ecco il libro perfetto per chi ama New York e la letteratura americana.
L’autore descrive così le impressioni durante uno dei primi soggiorni:
“Avevo la sensazione che le storie che amavo, quelle che mi avevano portato fin lì, si stessero svolgendo in quel momento, anzi che la città intera fosse fatta di materiale narrativo: che il suo corpo luccicasse sulla cupola del Chrysler Building o nelle insegne al neon di Times Square, ma il suo spirito vivesse dentro le finestre, nelle tavole calde e sui vagoni dei treni, tra gli emigranti scaricati alla stazione e accanto all’uomo sulla chiatta di immondizia che ogni notte risaliva l’East River..”
Non solo nel libro si scoprono angoli di Manhattan fuori dai circuiti turistici (Lower East End, angoli di Brooklyn, nel “lato sbagliato del fiume”); alcuni riferimenti aiutano il lettore a immergersi nel vissuto quotidiano newyorkese, ad esempio le descrizioni dei caratteri distintivi di Brooklyn, i pompieri, gli idranti, le scale anti-incendio.
Posso ricominciare a sognare e programmare il mio prossimo salto a New York. Stavolta niente musei e Midtown. Dice bene l’autore: l’unico senso possibile per una guida su New York è che sia incompleta e personale, e così sono i miei viaggi nella Grande Mela, lasciano sempre un senso di incompiutezza, la necessità di pensare a un ritorno.
Io sono già pronta a ripartire, e voi?
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