La scena è sempre la stessa: io che preparo il pranzo, il citofono, la porta. Una figlia che torna da scuola: ci si aspetterebbe un caloroso saluto, un fiume di parole sulla giornata appena trascorsa e invece alla classica, scontata, inutile domanda: “Come va?” La risposta è : “Cibo”.
La leggiadra fanciulla, elargito, devo essere sincera, il consueto bacio, guarda oltre le mie spalle e i suoi occhi cominciano a valutare se la quantità di commestibile esposta tra piano di lavoro e tavolo possa essere sufficiente; si aggira famelica esaminando con cura anche i fornelli, solleva i coperchi delle pentole sul fuoco valutandone i contenuti… io intanto attendo timorosa sperando che sia abbastanza, non vorrei che mi guardasse come Alex il leone, affamato, guarda la sua amica zebra e soprattutto le di lei terga in Madagascar.
Tiro un sospiro di sollievo, il test è superato, l’adolescente in crescita lascia momentaneamente la stanza per riporre lo zaino, lavare le mani, tornare all’attacco.
Ne è passato del tempo da quando, per farle mangiare tutta la pappa, improvvisavo un penosissimo balletto sulle note di Da Da Umpa, mi nascondevo dietro la porta della cucina e, lasciando apparire solo la mia gamba, contenuta in una sensualissima tuta, mi esibivo sperando che a ogni apparizione una cucchiaiata raggiungesse la bocca della mia piccola che, ora ne sono certa, aspettava tempi migliori per dare spazio alla sua voracità, e soprattutto portate più appetitose della crema di tapioca con zucchine e prosciutto cotto.
Finito il pranzo ho circa due ore, tre al massimo di tregua, passate le quali la porta della cameretta si apre: ha di nuovo fame. Questa volta non mi chiede nulla, sorride e raggiunge la porta dei miracoli, quella del frigo. La sento smanettare, tagliare, versare, dopo dieci minuti torna in camera, il volto felice non lascia dubbi, è sazia.
Il momento topico viene raggiunto alla sera: ora tarda, rientro dagli allenamenti, poco tempo e tante cose da fare, una in particolare, nutrirsi; qui basta lo sguardo. Non importa che siano le nove, nove e mezza, dieci: il suo stomaco sarà in grado di contenere tutto ciò che la mia razionalità sarà stata in grado di mettere in tavola. A ogni forchettata i lineamenti si distendono, mastica soddisfatta, ora posso azzardare un:
“Come è andata?” certa che, tra un boccone e l’altro troverà il tempo di rispondere.
22: finalmente la cucina chiude, sparecchiamo insieme, andiamo a dormire, ma non prima di aver apparecchiato per la colazione. Meglio essere previdenti, tutto è sopportabile, anche la felpa preferita diventata giallo senape a causa di un lavaggio sbagliato, ma non una tavola sguarnita quando lo stomaco ulula.
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Una descrizione di vita quotidiana entusiasmante…… Chiudendo gli occhi ho avuto la sensazione di assistere in prima persona. Bravissima. In molti si riconosceranno