Quando viaggio sono ossessionata dal voler immortalare tutto ciò che mi colpisce. Oggi riusciamo a vedere riprodotto ogni attimo, luogo visitato, pasto consumato. Come facevano i viaggiatori del passato a riportare con precisione i particolari dei loro viaggi, senza poter ricorrere all’aiuto di una foto, un video?
Osservavano, studiavano con gli occhi, memorizzavano con la mente, coglievano dettagli.
Forse dovrei disabituarmi all’obiettivo e ricorrere più alla memoria visiva, cercando di accogliere nella mente più dettagli possibili, con l’aiuto dei miei taccuini restituire ai paesaggi, alle persone, ai ricordi tutti i loro particolari e ciò che essi mi comunicano, immortalandoli tra le righe dei miei scritti.
Penso agli impressionisti, a quante sfumature riuscivano a cogliere osservando per giorni lo stesso paesaggio, riportandone i particolari in tele sempre differenti, arrivando addirittura a individuare il colore giusto per la nebbia, a seconda della variazione di temperatura che ne modificava inevitabilmente la tonalità, regalandoci istantanee pregne di sensibilità che alla macchina fotografica è estranea.
Negli scrittori invece semplici incontri potevano trasformarsi, nel passaggio dagli occhi alla penna al foglio, particolareggiate descrizioni: penso inevitabilmente a Bruce Chatwin, ai suoi tanti taccuini e al viaggio come ragione di vita.
In queste mie riflessioni tra viaggi, descrizioni, immagini, parole, mi torna alla mente un libro di Alessandro Baricco in cui il protagonista, uno scrittore di successo, decideva all’improvviso di non voler più scrivere libri dedicandosi, dopo un periodo buio di incertezza e confusione, a scrivere ritratti: l’uomo osservava per ore, giorni e poi, senza scambiare una parola con il cliente di turno, arrivava a descriverne la personalità raccontando una storia che lo identificava. Ricordo che mi era piaciuto molto: chissà che effetto mi farebbe ora, nella mia dimensione di aspirante scrittrice. Dovrei rileggerlo…vediamo: Bach, Barbery, Bareau, ..eccolo! Baricco.