Transitava da giorni da una stanza all’altra: in prestito dalla biblioteca, lettura imposta, o meglio consigliata, dalla scuola. Si sa, l’occasione rende il lettore ladro; in un momento di distrazione l’ho sottratto alle rassegnate grinfie adolescenti e mi ci sono immersa: non esiste descrizione migliore per descrivere quanto è accaduto. Sono entrata in un tempo che conosco poco, e mi sono fatta coinvolgere da una vicenda di cui sapevo ancora meno.
Tra le pagine di questo libricino mi sono scoperta molto ignorante su fatti storici che hanno segnato un popolo, ma con numeri e gradienti di gravità inferiori all’eccidio degli ebrei, e per questo dai più dimenticati.
Alla vigilia della prima guerra mondiale, in una regione dell’Asia Minore, un popolo decise di sterminarne un altro, perché cristiano, o forse perché possibile futuro alleato del nemico contro il quale ci si preparava a combattere una lunga e dolorosa guerra. Non è importante sapere il perché, non ci sono buone ragioni per cancellare, o tentare di cancellare un popolo dalla faccia della terra.
Gli armeni, oggi piccolo popolo con una piccola patria indipendente, quasi un secolo fa vennero barbaramente uccisi, deportati, privati di libertà, dignità, identità.
Antonia Arslan nel suo romanzo mette a fuoco questi eventi restringendo il campo di osservazione a ciò che accade a una famiglia, la sua, in un arco di tempo apparentemente ristretto, nel quale però riesce a far confluire passato e futuro di questa cerchia, e di riflesso dell’intero popolo.
Racconta al tempo presente con la precisione di un cronista, per poi abbandonarsi al passato remoto e ai toni nostalgici del sopravvissuto, alle riflessioni ponderate del testimone che tiene un dettagliato diario. Ciò che colpisce è che in realtà la scrittrice non è niente di tutto questo, non ha vissuto in prima persona la deportazione; è tuttavia una sensibile ascoltatrice di racconti, confidenze, testimonianze di parenti e connazionali.
Eppure la scrittura è così viva, pregna di descrizioni dettagliate, i racconti così precisi, a tratti forti per la crudezza dei fatti riportati, da rendere davvero difficile pensare che sia stata risparmiata da tanta umana crudeltà.
Certi libri risvegliano le menti sopite di ex studenti attempati, che trascinati in un altro tempo, affascinati dal genere sicuramente più leggero del testo storico di studio, possono ricordare, o apprendere ciò che la storia stessa a volte tralascia di rammentare, ciò che l’uomo moderno tende a trascurare come “tragedia minore”, mentre nessuna tragedia che abbia comportato la fine ingiustificata di vite umane dovrebbe essere relegata come tale.
Terminata la lettura una duplice sensazione mi ha avvolta: una nuova consapevolezza di dati storici che non conoscevo, e contemporaneamente la nostalgia per personaggi, familiari dell’autrice, diventati quasi miei conoscenti, grazie all’umanità con la quale li ha vestiti, alla dolcezza con cui ne ha provato a immaginare sensazioni, e alla maestria con cui ha saputo trasformarne le sfumature facendoli crescere, anzi decadere, trascinati da atteggiamenti di speranza orgoglio e allegria, ad abbandono, disperazione e annichilimento.
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Ho provato le stesse sensazioni ma non sarei riuscita ad esprimerle in maniera migliore❤️❤️
L'avresti fatto certamente in maniera differente. Il bello della lettura è proprio questo: Conrad diceva che si scrive soltanto una metà del libro, dell'altra deve occuparsi il lettore. Non ci sono recensioni migliori di altre, ci sono modi diversi di accostarsi a un libro e sorprendenti molteplicità di reazioni, immagini, stati d'animo che lo scrittore può provocare su persone diverse con le stesse parole. E' questa la magia che pervade scrittura e lettura, ed è per questo che le adoro entrambe!